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Speriamo di no! Ecco, comincio subito a chiarire qual è la mia speranza e l’augurio in merito all’assunto di cui al titolo del mio articolo. Però vi voglio parlare di questo fenomeno, di cosa la musica corale rappresenta nella cultura collettiva, italiana e no, di come essa si è strutturata, di quali sono le aspettative e gli sviluppi dell’associazionismo corale.

Sono forse troppi gli argomenti da trattare in una semplice e sintetica articolo? Ci provo lo stesso.

Brevemente vorrei introdurre il fatto che, nella mia posizione privilegiata di presidente AERCO ma soprattutto in qualità di direttore di una rivista corale internazionale (International Choral Bulletin), ho la possibilità di conoscere da vicino praticamente tutti i meccanismi, gli equilibri, le tensioni, che disciplinano questo variegato mondo di appassionati, prettamente amatori di eterogeneo livello. L’ambiente è molto competitivo e, seppure non circolino al suo interno ingenti somme di denaro, la maggior parte di cori e direttori si scambia sorrisi cordiali negli incontri ufficiali per poi argomentare aspramente sui social come nella vita reale. È umano, sicuramente è segno di vitalità… Subentrano due importanti variabili a (s)regolare la pax deorum, tanto cara ai Romani; se nel nostro caso l’elemento religioso è rappresentato dalla musica corale e i cives da chi la pratica, ecco che l’italica creativa attitudine a ‘pensarla diversamente in tutto’ addizionata ad un po’ di gelosia e reciproca rivalità, scombina l’idillio da quadretto agreste. È un duro inciso, me ne rendo conto, ma è la sana verità. Siccome però non voglio suscitare un vespaio, né un coro di critiche, non ci ritornerò più su; ognuno ha esperienze diverse e mi auguro che per la maggior parte di noi fare musica corale sia solo un’attività piacevole e rilassante, come dovrebbe senz’altro essere.

Come siamo organizzati in Italia e nel mondo? Quali sono le Organizzazioni che sovrintendono le attività, che ne coordinano gli scopi, che provvedono a creare occasioni concertistiche, di incontro e di istruzione?

Partendo dalla base, prima di tutto ci sono i cori che sono un po’, mi piace ripeterlo, come le Stazioni dei Carabinieri: sono presenti dovunque, anche nei più piccoli e remoti paesi d’Italia. A livello nazionale i cori, per libera scelta, sono organizzati in Associazioni Corali Regionali (sono 21, AERCO è una di queste) e, da poco, anche in altre Associazioni. Le varie Associazioni Corali Regionali hanno dato vita, nel 1984, a FENIARCO. In tutt’Italia i cori associati a FENIARCO sono oltre 2.800. Capirete che stiamo parlando di almeno 100.000 cantori, ovvero di un piccolo mondo (ma mica tanto) che ruota intorno ad un comune proposito: cantare insieme! Certo, siamo ancora lontanissimi dalle percentuali baltiche dove, in paesi quali la Lituania, ad esempio, un abitante su tre è coinvolto in un coro. Fenomeni irripetibili da noi e che hanno portato quegli stati a conquistarsi la libertà dal regime sovietico unendosi in una chilometrica catena umana cantante. In Italia comunque si assiste ad una certa unità organizzativa, anche se negli ultimi tempi stanno nascendo altre strutture e movimenti paralleli con compiti associativi. Questo fattore è mio parere positivo per garantire la libera espressione culturale e la pluralità dell’offerta.

Il prossimo gradino della nostra filiera corale è rappresentato dall’istituzione corale europea, ovvero da European Choral Association-Europa Cantat (ECA-EC). Motivo per essere orgogliosi è che, allo stato attuale, la presidenza è affidata ad un italiano, il M° Carlo Pavese di Torino. Sono soci di ECA-EC 63 federazioni nazionali o regionali, 198 cori, 204 membri individuali rappresentanti di 40 paesi europei ed extraeuropei, questi ultimi la Russia, la Georgia, l’Armenia, Israele, ecc… Su questo livello troviamo analoghe associazioni ‘di area geografica’, come Chorus America e ACDA negli Stati Uniti, oppure ANCA in Australia, JCA in Giappone.

Alla cima della piramide organizzativa troviamo poi la Federazione Internazionale della Musica Corale (IFCM) che è stata fondata nel 1982 da alcune ed importanti associazioni corali nazionali ed internazionali (precisamente A Coeur Joie, Nordisk Korforum NKF, ACDA, Japan Choral Association ed Europa Cantat) con il proposito di lavorare insieme per rafforzare la cooperazione tra le organizzazioni corali nazionali ed internazionali ed i singoli individui in tutti gli aspetti della musica corale. Attualmente IFCM ha la sua sede principale a Lisbona ed è presieduta da Emily Kuo Vong, eletta due anni fa in occasione del Simposio di Barcellona. I progetti principali della Federazione Internazionale sono il Simposio Mondiale di Musica Corale (ogni tre anni, il prossimo doveva essere ad Auckland a Luglio 2020, ma è stato annullato a cauda della pandemia), il Coro Giovanile Mondiale, Conductor without Borders (per aiutare i direttori dei paesi in via di sviluppo), il World Choral Day, il Concorso Internazionale di Composizione Corale, l’International Choral Bulletin. Di questi due ultimi progetti ho l’onore di esserne il coordinatore responsabile. Considerando che ognuna delle citate organizzazioni nazionali ed internazionali ha un suo board, una commissione artistica, tecnica e finanziaria, capirete come la musica corale sia saldamente strutturata e dove nulla è lasciato al caso. Ogni coro è in realtà un mattoncino di questa incredibile ragnatela che si muove esclusivamente nell’ambito del volontariato. Cosa vuol dire essere mossi dalla passione!

Perché allora all’inizio ho parlato di ‘implosione’? Perché lentamente sta cambiando il concetto dell’associazionismo.

La prima difficoltà dell’associazionismo di oggi è associarsi. La ragione di questa difficoltà è facilmente riscontrabile nella fragilità della meccanica del legame sociale. Esiste un processo che diversifica gli interessi, frammenta i gruppi e moltiplica le appartenenze. È come se fossimo animati da una cultura fondata su un individualismo difensivo, una riduzione all’individuale, misurata fino al livello di benessere del singolo o, al massimo, delle reti vicine come la famiglia. Oltre questo livello si avverte una difficoltà. Pertanto, si fatica a stendere le reti, a tenere ampi i legami di solidarietà tra individui, a reggere quelle conoscenze che uniscono anche persone sconosciute, che avvicinano i lontani.

Una seconda difficoltà è la tendenza alla disintermediazione. Abbiamo assistito, a partire dal mondo politico sino a quello culturale, alla ricerca di relazioni sempre più dirette tra istituzioni pubbliche e private e cittadino-utente, come se tutto potesse essere compreso dentro un rapporto faccia a faccia: come se delle relazioni normalmente verticali per ragioni storiche e giuridiche, potessero facilmente trasformarsi in relazioni orizzontali per imprecisate ragioni di trasparenza, di giustizia o di controllo sociale. Lo sviluppo delle piattaforme social ha facilitato la diffusione di questo processo: l’istituzione trattata come ‘amico’ su Facebook, alla pari, senza alcuna mediazione, e con il sentimento di pensare di poter parlare all’istituzione stessa allo stesso modo con cui si parlerebbe col vicino di casa o del vicino di casa.

Una terza difficoltà riguarda i tempi e la loro gestione. Viviamo il tempo in modo più disordinato, in continua emergenza, con scansioni temporali a volte dilatate a volte ristrette, con ritmi che a volte mortificano il quotidiano: la vita e i gesti di quella sana quotidianità che è fondamento dei legami tra persone. Ma senza una gestione più ordinaria dei tempi non può esserci volontariato e associazionismo: diventa difficile individuare momenti da donare agli altri, momenti di impegno per il bene comune. La gestione dell’agenda, cioè del mezzo, diventa più complicata delle ragioni dei fini.

Infine, la mobilità nella vita delle persone: si nasce in un posto, ma non è detto che la vita sarà trascorsa tutta lì. È facile trovare biografie zingare, spostamenti di quartiere in quartiere, di città in città, perfino di Paesi. Anche questo mette in crisi le nostre identità associative che storicamente sono cresciute e si sono solidificate dentro comunità precise con tradizioni, linguaggi, culture e legami locali. La mobilità ci porta ad una maggiore interconnessione, che però rischia di essere più fragile del legame locale. L’associazionismo del Novecento è cresciuto su assi quasi esattamente contrari: in spazi vicini, in tempi ordinati, nel rispetto istituzionale e alimentando senza particolari difficoltà un io collettivo.

Quindi siamo di fronte ad una nuova sfida, che richiede la revisione delle tradizionali pratiche, che rischiano di apparire autoreferenziali e di perdere la capacità di coinvolgimento delle persone e l’aggregazione degli interessi comuni. Per costruire modalità ed esperienze associative che rispondano ai tempi attuali dobbiamo immaginare un nuovo percorso. Il mondo dell’associazionismo deve essere reattivo se non vuole lentamente morire. Per questo deve riscoprire il coinvolgimento, se vuole continuare a costruire legami tra i cittadini; deve stimolare connessioni se vuole animare la partecipazione attiva, che non obbedisce più a logiche di struttura verticale o orizzontale: dall’alto verso il basso e dal centro verso la periferia e/o viceversa. E allora ecco tre parole che possono delineare un criterio con il quale tentare di rispondere ai tempi moderni e tracciare una strada nell’associazionismo: competenza, solidarietà e comunicazione. Parole che permeano, a mio parere, gli appartenenti ai quadri dell’associazionismo corale, di coloro che dedicano parte della propria vita a far si che i cori mantengano la loro missione principale che è il cantare ma che allo stesso tempo sappiano muoversi all’interno del dedalo legislativo (competenza), siano consci della funzione aggregativa e sociale (solidarietà) e che padroneggino gli strumenti amplificativi del messaggio artistico e sociale (comunicazione).

Chiudo qui questa lunga riflessione con la consapevolezza che la nostra strada comune associativa sia stata tracciata in maniera indelebile, che le persone addette al completamento della carreggiata e al suo mantenimento nel tempo sono tante e generosamente presenti. Un unicum, il movimento corale, di cui esserne orgogliosi e che non ha pari, nel mondo musicale professionale.

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