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Il problema interpretativo nella musica nasce dal fatto che le arti del genere umano possono essere raggruppate insieme in un numero di modi differenti. Per esempio, una prima divisione può essere fatta tra le arti visuali (pittura, scultura, architettura), le arti uditive (musica, recitazione) e quelle che dipendono da una combinazione delle due precedenti (teatro, opera, danza). Oppure possiamo avere una divisione tra le arti che sono state create una volta per sempre (scultura, architettura, cinema) e quelle che necessitano di una continua ricreazione in ogni occasione esecutiva; di conseguenza ogni rappresentazione di una danza o di un brano musicale è un fenomeno unico che può essere simile ma non identico ad altre “performances” dello stesso lavoro.

Queste arti ricreative, o come sono generalmente chiamate, arti temporali, hanno una cosa in comune. Tutta la loro sostanza dipende in un modo o nell’altro da una serie di simboli visuali che trasportano le intenzioni dell’artista all’esecutore e, attraverso questi, all’ascoltatore o allo spettatore. Riguardo al nostro tema il vasto campo dei simboli deve essere ristretto a quelli usati nelle civiltà occidentali, sebbene così facendo ne escludiamo, forse arbitrariamente, molti altri. La letteratura usa una serie di simboli di base, l’alfabeto romano, che ha avuto un tempo di sviluppo di circa 3000 anni che alla fine ne ha soppiantato molti altri. Le arti musicali usano un sistema completamente diverso, la notazione sul rigo; e sebbene il suo periodo di sviluppo sia stato più breve (probabilmente non più di 1500 anni), maggiore è stata la sua incombenza.

Il sistema in uso per la letteratura presenta alcune analogie con quello in uso per la musica, alcune stimolanti e provocatorie, altre ingannevoli e false. Cominciando, l’alfabeto è un sistema che serve a due scopi: può essere capito visualmente e può essere tramutato in suono; ma non è necessario ascoltare un libro per capirne il suo contenuto. Il sistema musicale deve essere ascoltato se vuole avere un significato; ovvero i simboli musicali scritti possono essere compresi in maniera visiva ma così facendo rimarranno comunque una mera e stilizzata rappresentazione della musica ma non la musica stessa. Pensare diversamente, analizzare i “punti bianchi e neri” pensando che essi siano la musica, comporli ed assemblarli in modo solo intellettuale o visiva senza correlazione alcuna con i loro suoni, diventano attività che non hanno a che fare con la musica ma con i suoi simboli. In musica l’unico giudice è l’orecchio e non l’occhio. Andando oltre, i modi nei quali i simboli alfabetici vengono raggruppati per comporre le parole e il linguaggio variano da paese a paese e da un’epoca all’altra cosicché uno stesso gruppo di simboli avranno diverso suono e significato nei diversi paesi ed anche il suono e il significato cambierà nel corso dei secoli. Per esempio, in Francia e in Inghilterra il gruppo di lettere “pays” avranno diverso significato e pronuncia. Diversamente una stessa frase musicale può avere un significato diverso nella Francia o nell’Inghilterra del XVIII secolo. Terzo, uno stesso concetto può essere espresso nelle diverse lingue da un differente assemblaggio delle lettere: “cavallo”, “horse”, “cheval” sono parole equivalenti nei vari idiomi ed esprimono l’equipollente concetto di “cavallo”. Analogamente, in posti e periodi musicali diversi sono stati usati metodi diversi per scrivere lo stesso concetto musicale.

A questo punto ci si può sentire un po’ disorientati, e ci si può cominciare a chiedere che cosa tutto questa discussione di significati e simboli ha a che fare su come cantare Palestrina, Bach, Purcell o Ligeti. La giustificazione di tutto ciò è questa: la notazione musicale in uso oggi è il logico sviluppo di quella usta nei tempi antichi ma il significato odierno dei simboli musicali può essere, e molto spesso lo è, completamente diverso dall’omologo significato nell’Italia del XV Secolo o dalla Francia del XVIII Secolo. La notazione moderna è molto più precisa in ordine al tempo, dinamica, ritmo, tonalità, durata delle note e così via di come lo è stata nei secoli lontani. Un compositore del XXI Secolo usa la notazione in accordo con i canoni del suo tempo e, pertanto, c’è solo una piccola possibilità che un esecutore suo contemporaneo non lo possa capire ed interpretare correttamente. Un compositore del XIV, XVI o XVIII Secolo usa anch’egli la notazione in uso al suo tempo ma ci saranno enormi possibilità che un moderno esecutore male interpreti la sua musica a causa di un’inadeguata conoscenza di queste convenzioni, per la maggior parte dei casi obsoleta e dimenticata. In una parola, quando un esecutore attuale guarda ad un pezzo di musica antica non deve dare per scontato il significato dei simboli che vede sullo spartito.

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