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Illo TemporeIl 16 luglio 1610 Bassano Casola, un famoso cantante mantovano di quei tempi, scrisse al cardinale Ferdinando Gonzaga (figlio minore del duca Vincenzo):

Monteverdi è in procinto di stampare una messa a cappella a sei voci scritta con studio e fatica, dal momento che ha dovuto manipolare continuamente ogni nota attraverso tutte le parti, rafforzando di continuo gli otto temi dal mottetto ‘In illo tempore’ di Gombert. Inoltre sta anche completando alcuni salmi per i Vespri della Vergine, con varie e diverse tecniche inventive ed armoniche, il tutto sopra un cantus firmus. Ha intenzione di venire in autunno a Roma per dedicarli a Sua Santità.

Si tratta di una descrizione abbastanza precisa della pubblicazione, che apparve quello stesso anno a Venezia, dedicata a Papa Paolo V. Questa inizia con una ‘Missa da Capella a sei Voci fatta sopra il motetto In illo tempore del Gomberti’, per citare la versione più completa del titolo, che conteneva inizialmente anche la parte dell’organo. Non c’è contraddizione nell’avere steso anche la parte organistica in una Messa ‘a cappella’: a tale termine mancavano ancora le accezioni che vennero successivamente acquisite. C’era, tuttavia, un luogo dove la musica sacra veniva sempre cantata priva di accompagnamento: la Cappella Sistina a Roma; quindi non è sorprendente constatare che l’unica copia originale sopravvissuta della Messa ometta la parte dell’organo. Monteverdi si recò a Roma nell’autunno del 1610 per presentarne una copia, sperando in tale modo di ricevere in cambio una borsa di studio per il figlio Francesco (e forse qualche vantaggio per se stesso). Anche se l’intera pubblicazione della Messa e dei Vespri è stata dedicata al Papa, è molto probabile che solo la Messa gli fu presentata, dal momento che i Vespri non erano certamente in sintonia con il gusto papale: questi ultimi erano molto più adatti a Venezia, dove l’edizione era stata pubblicata e dove il compositore si assicurò presto (nell’Agosto 1613) una delle posizioni più pregiate ed ambite per un musicista, la nomina a maestro di cappella della Basilica di San Marco.

Nicolas Gombert nacque nelle Fiandre intorno al 1495, studiò probabilmente con Josquin Desprez e trascorse la maggior parte della sua vita come cantante e compositore della cappella dell’imperatore Carlo V. A partire dal 1540 non risultano più prove della sua attività corale: stando ad una testimonianza del matematico Girolamo Cardano, Gombert fu accusato di violenza sessuale nei confronti di un ragazzo e fu condannato ai lavori forzati. Comunque fu presto graziato, ma poco si sa della sua successiva carriera. Morì tra il 1556 e il 1561. C’erano sicuramente alcuni collegamenti tra Gombert e un membro della famiglia Gonzaga, Ferrante, al quale Gombert inviò un mottetto nel 1547: infatti la biblioteca della cappella dei Gonzaga, Santa Barbara, comprendeva almeno una delle raccolte dei mottetti pubblicati da Gombert. Non c’è apparentemente alcuna evidente ragione per cui Monteverdi avrebbe dovuto scegliere un lavoro del compositore fiammingo su cui plasmare la sua Messa; ma era chiaramente nelle sue intenzioni volgere lo sguardo alla precedente generazione di compositori italiani che avevano attinto alle sorgenti fiamminghe dello stile polifonico.

Monteverdi consapevolmente modellò la sua composizione con alcuni temi estratti dal mottetto di Gombert (dieci di loro, in realtà), forse perché si rese conto che sarebbe stata una pratica difficile da scoprire per i non adepti o forse per dimostrare che era lui stesso interessato al trattamento astratto delle linee tematiche convenzionali piuttosto che alla parodia nel suo insieme. La scrittura a sei voci stava diventando insolita per la scrittura polifonica del tempo: è sintomatico il fatto che la più famosa Messa a sei voci di Palestrina, la Papae Marcelli, sia stata riscritta, dopo la sua morte, a quattro voci, secondo una pratica senza dubbio più in voga. Nei Vespri, di cui completò la pubblicazione nel 1610, Monteverdi mostrò un’impressionante abilità nello scrivere idiomaticamente per molte voci all’interno dei più chiari modelli armonici del nuovo stile; nella Messa, l’armonia è invece generata da una linea di basso che fa parte dell’intreccio contrappuntistico, anche se si avverte già un chiaro senso di tonalità.

Nel Credo La tessitura è densa, con poche pause per le singole parti e solo una sezione presenta la scrittura accordale, ‘Et incarnatus est’, che richiama anche l’attenzione alla modulazione a Mi maggiore dal Do maggiore prevalente. Il seguente ‘Crucifixus’ ripristina la tonalità di Do maggiore, ma utilizza solamente le quattro voci superiori. Mi maggiore è di nuovo utilizzato per un magnifico contrasto tonale nel ‘Benedictus’. Il finale ‘Agnus Dei II’ è per sette voci, seguendo la tradizione di aggiungere una voce in più per l’ultima sezione della Messa.

Partitura nella tonalità originale: http://www.johnkilpatrick.co.uk/music/1610/1610-mass-C.pdf

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