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Il discorso è, ahimè, lungo, complesso e pedante e non riguarda solo le norme liturgiche post-conciliari, ma afferiscono ad un modo di comporre che è, ovviamente, cambiato nei secoli, proprio quelli a cui molte volte si paragona la musica sacra e liturgica dei nostri tempi.

Premesso che nel Rinascimento, ma anche dopo, la musica sacra e quella liturgica coincidevano per stili e forma (tranne, se vogliamo le Laude Spirituali, che erano composte per un motivo perlopiù devozionale), il modo di comporre dei musicisti era quello, cioè uno stile polifonico piuttosto complesso. Non ci si poneva la domanda se era adatto o no all’azione della liturgia. Con la Riforma Luterana si è adottato uno stile più semplice, il Corale, ma comunque rientrante ancora nell’ottica di quello che oggi ammiriamo, spesso con nostalgia. Siamo però sempre nell’ambito di composizioni attualizzate al periodo in cui quei maestri vivevano. E così avanti fino, più o meno, alla Prima guerra mondiale: nei secoli XVIII e XIX lo stile cambiava, restando però radicato alla tradizione tonale. Nel XX secolo è successo un cambiamento epocale. Con l’avvento della dodecafonia e dell’alea i compositori ‘moderni’ componevano brani in tale stile che, ovviamente, era impraticabile per la liturgia. In quegli anni sono sorti miriadi di altri musicisti che non avevano più una guida stilistica di riferimento per ciò che dovevano comporre. Ma questo riguardava non solo la musica sacra e liturgica del ‘900, ma tutto la produzione musicale ‘di consumo’ che non si inseriva nel ‘pentolone’ dell’avanguardia. La banalizzazione della forma e dell’impianto tonale furono quasi una ‘controriforma’ alla ‘riforma’ del serialismo. C’è crisi vocazionale, da oltre 70 anni, nel modo di comporre. Le canzoni di Frisina, ma non solo di lui, non vanno oltre ad un bel giro di tonica, sottodominante, dominante, tonica (a volte con qualche appoggio sul VI grado) perché oggi la gente ha questo nelle orecchie, dalla musica pop che si ascolta alla TV a quella di sottofondo in macchina o al centro commerciale. Su questo fatto, che è oggettivo, ne io ne i colleghi possiamo fare nulla.

C’è però il fattore emozionale di cui non ho ancora parlato.

Mentre sulla musica liturgica il Concilio ha ribadito da una parte l’importanza del Canto Gregoriano e dell’Organo (purtroppo senza nessun controllo che questo accadesse nella realtà), dall’altra la Musica Liturgica è ‘andata per i fatti suoi’. E probabilmente ha avuto il suo successo per i motivi elencati nella lunga premessa. Ma la ‘pietas’, cioè quella devozione che è insita in ciascuno di noi è un’altra cosa. Provo a spiegarmi con un esempio: la mia chiesa, dove svolgo il ruolo di maestro di coro e organista, è un orrendo capannone, costruito negli anni ’50, con povertà di mezzi da un geometra che sicuramente non aveva nessun concetto del ‘bello’. A sua discolpa va il fatto che sicuramente, come per la musica, non aveva senso ricreare forme gotiche o barocche… A prescindere da questo, nel ‘capannone’, le uniche forme d’arte presenti sono qualche tela anonima (a dire il vero una è di valore) e tanti orribili cartelloni preparati dai vari gruppi liturgici che dovrebbero invitare (io dico ‘minacciare’) il fedele a rimuginare sulla propria vita spirituale. Chi entra in una chiesa come questa, a meno che non sia un’asceta di suo, fa moooolta fatica a mettersi in un atteggiamento di preghiera. Purtroppo, il nostro cervello è condizionato da ciò che lo attornia. Si provi ad entrare in una bella cattedrale romanica o in una chiesa ricca di forti immagini sacre magari accompagnate in sottofondo da meditazioni organistiche o dal canto corale di spessore. Se l’atteggiamento cristiano è quello giusto, il nostro visitatore, non si farà distrarre da tutta la componente artistica ma sarà, quest’ultima, un valore aggiunto alla sua devozione. Qualcuno mi risponderà che si può pregare bene anche in una capanna di una missione africana: è vero, ma non sono qui alla ricerca di questi eccessi, che molte volte sono più teorici, quasi per negare che l’arte non va d’accordo con la povertà, che pratici.

Caro Marco (Frisina), non mi piace il tuo stile, lo sai, come non mi piacciono quello di altri compositori che si sono dovuti adeguare alla crisi compositiva prevalente, però non ti biasimo. Quello che componi rispecchia esattamente il mondo in cui viviamo e questo non sempre è un male. Se esistesse una macchina del tempo mi piacerebbe tornare nel Rinascimento, ma non posso. Nell’attesa che qualcuno la inventi, sopporto questa musica ma non la disprezzo; però permettimi di guardare altrove e di auspicare che le prossime generazioni trovino un equilibrio tra semplicità esecutiva e bellezza formale, melodica e armonica. La responsabilità è di tutti!

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