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Con questo breve articolo vorrei considerare come veniva indicato e scritto il tempo nella musica del XVI secolo e tentare di stimare la sua velocità ‘standard’, quella che i musicisti di allora consideravano ‘nella norma’. Le fonti originali di quel secolo sono più che ambigue su questo tema, ragion per cui bisogna fare ricorso all’esame delle fonti del diciassettesimo secolo, che sono molto più esplicite. L’analisi di queste ultime indica che i tempi nella musica del secolo precedente sembrano essere stati più lenti di quelli ritenuti appropriati dagli studiosi e dagli artisti moderni e ci offrono una migliore prospettiva su come i tempi, nel XVI secolo, potevano essere.

Elemento fondamentale alla questione del tempo è come questo era pensato dagli stessi musicisti. Le fonti che risalgono al tardo XV fino al XVIII secolo di solito descrivevano il tempo come un movimento ‘su e giù’ della mano. La parola tactus era applicata alla porzione di tempo regolato e compreso in questo movimento e lo indicavano nella partitura attraverso un segno convenzionale. Altre parole per tactus erano misura, mensura, compás, battuta, schlag, ictus, percussio e praescriptum. In ogni caso la parola tactus si riferiva solo al tempo e non al ritmo. Essa comprendeva il movimento in alto e in basso, ovvero un ciclo completo. La relazione tra il tactus e i reciproci movimenti della mano si può paragonare a quella tra una pulsazione completa e il concetto dei battiti alternati del cuore, chiamati individualmente diastole e sistole o arsis e tesi. Nessuno dei due movimenti della mano, in alto o in basso, era più accentuato dell’altro; c’è da menzionare che le fonti sono divise nel descrivere come ‘iniziale’ il movimento in salita o quello in discesa. Comunque sia i movimenti su e giù erano di uguale durata nel tempo comune (binario) e nel tempo ternario con tre battiti in ogni movimento, oppure erano irregolari nel tempo ternario con un movimento il doppio della durata dell’altro.

Era normale nel tempo binario segnare il tempo totale di un tactus con una semibreve (alla semibreve o integer valor notarum). Le alternative erano di segnarlo con una breve (alla breve o proportio dupla, chiamato anche diminuzione) o con una minima (alla minima, detto anche aumentazione). La notazione alla breve era preferita quando si voleva evitare di scrivere troppe note di piccolo valore, nel caso la musica fosse veloce o per quella con scopi didattici. Con queste diverse possibilità la durata temporale di ogni movimento della mano, se uguale, era fissata, e le differenze riguardavano esclusivamente la notazione con una minima, una semibreve o una semiminima, nel tempo binario (o tre di queste nel tempo ternario) rispettivamente nei tempi ‘alla semibreve’, ‘alla breve’ o ‘alla minima’. Nel tempo ternario, in cui i movimenti delle mani erano di durata ineguale, il più veloce dei due moti corrispondeva a uno di questi, il più lento a due, e il tempo totale del tactus (entrambi i movimenti) era lo stesso di quando i movimenti erano uguali.

Questa era l’assunzione teorica più semplice, con un tactus standard per tutta la musica scritta ed era comunemente adoperata quando le diverse voci di una composizione polifonica usavano notazioni diverse. Poteva anche essere adoperata nelle sezioni successive di una composizione, ma c’erano comunque delle alternative. La prima era che la notazione e il tempo rimanevano costanti, ma il ritmo del movimento della mano poteva essere raddoppiato o dimezzato. Ciò ha creato una forte ambiguità nel modo in cui la segnatura del tempo nella musica del XVI Secolo associava la notazione ai movimenti della mano. L’altro era che si poteva prendere il tactus un po’ più veloce di quello che era considerato lo standard. Un tactus più veloce per una scansione veloce era raccomandato da Luis Milán (nel 1536) ma questo fu descritto da Mace (nel 1676) come un errore comune tra la maggior parte degli artisti, inclusi i grandi musicisti.

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